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Sound Blaster #2 Wim Mertens “For Amusement Only” (1980)

Salute e tutti, amici dei videogiochi e della bella musica, il vostro buon Marpo è tornato per la seconda puntata di “Sound blaster!” Questa volta vorrei attirare la vostra graziosa attenzione sul disco “For Amusement Only” del compositore belga Wim Mertens (in collaborazione con Gust De Meyer.)

Questo è il primo album di Mertens, pubblicato originariamente sotto lo pseudonimo “Soft Virdict”, ed è costruito (letteralmente) con i suoni delle sale giochi del tempo, montati, rielaborati e trattati con i modi della musica sperimentale. La maggior parte delle sonorità del disco proviene da flipper con le sole eccezioni dei brani qui trattati: ”Invader” e “Mystik”.
”Invader” è un brano molto breve, che come suggerisce il nome, è composto dai suoni emessi da “Space Invader” più altri presi da anonimi biliardini. Il brano è rumoroso e asimmetrico, ricorda la Musica Concreta di Pierre Schaeffer e l’ Industrial degli anni ’80. E’ un pezzo gelido certamente ironico ma d’effetto. L’incedere degli invasori, i colpi del cannoncino, l’allarme per il passaggio dell’astronave madre, aumentano man mano il ritmo sempre più alieno che porta al GAME OVER. E’ uno dei pezzi più distante dalle opere successive di Mertens. Come tutto il disco, del resto.

Il compositore, infatti, abbandonerà quasi subito la strada del minimalismo più sperimentale, freddo e ascetico (tipico degli statunitensi) per abbracciarne uno più “colorato” di malinconia e in sostanza più umano. Un’evoluzione che lo premierà con i successi di critica di opere come “Maximizing the audience” e “No Testament” e col finire in Hit Parade grazie a brani come “Struggle for pleasure” (dalla colonna sonora del film “Il ventre dell’architetto” di Peter Greenaway) e “Close Cover”.

Ancora più lontano dalle opere che renderanno celebre al grande pubblico Wim Mertens, “Mystik” è costruito su due soli suoni (presi da Pong) il cui dialogo continuo arriva dal nulla alle nostre orecchie per poi sfumare nell’infinito dopo undici minuti e rotti. Quel che c’è in mezzo è un intenso lavoro sui suoni che subiscono minimi cambi di tono, volume, e tempi, in maniera impercettibile. Quasi un raga à la Terry Riley, o un Soundscape di Robert Fripp, “Mystik” riesce a descrivere ottimamente quella sensazione di straniamento e stupore che si provava, noi ragazzi, a tu per tu con Pong. Pensate: senza musica, con dei suoni (e un gameplay) ultra ripetitivi e monotoni. Alla lunga, una specie di evento mistico. Qualcosa che sembrava (e, in effetti, era) elettronica incerta e manifestamente rozza. Giocare a Pong era un’esperienza estrema, sperimentale e d’avanguardia e contemporaneamente primitivista ed esoterica. E con questo, prima di accendere l’incenso e di mettermi a cercare il nirvana con Frogger, vi saluto e vi rimando alla prossima puntata con una domanda. I videogiochi attuali sono ancora capaci di incuriosire gli artisti, di ispirarli come sembra riuscissero agli esordi? Mi raccomando, non perdeteci il sonno!

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